Indagine su un paese al di sotto di ogni sospetto #1
GIORNALISTA
Sono a Tiepole… un paese in provincia di Roma.
Forse inventato, forse no, ma di certo qui il tempo è sempre grigio
e le nuvole scure profumano di pioggia. La magia è nell’aria,
quella oscura, quella silenziosa che ti mette inquietudine.
Ho
mille domande per la testa, e sto camminando per arrivare proprio lì,
nella casa dove tutto ha avuto inizio.
Busso.
Mi apre proprio
lei, Emma Onofri.
Sembra stanca, un po’ provata, e i suoi occhi
mi mettono paura.
«Insomma, che vuoi?» mi chiede, con la voce un
po’ cavernosa.
Ok, forse non dovevo disturbare.
«Sono qui
per l’intervista» dico.
Credevo fosse una ragazza dolce, eppure
il suo sguardo è gelido. Probabilmente non si fida di me. È solo un
secondo, poi sembra tornare la Emma dolce che tutti conoscono. Quella
gentile.
«Entra.»
Eccomi, sono dentro. E la seguo da vicino.
Questa casa mi disorienta. Eppure taccio e intanto mentalmente
ripasso le domande che durante il viaggio non ho fatto altro che
ripetermi. Provo una certa emozione.
Mi indica la sedia, e io mi
accomodo nel salotto accanto alla cucina. Adocchio il frigorifero. Do
uno sguardo all’arredamento in stile vecchio. Poi mi schiarisco la
voce.
«Posso offrirti qualcosa?» mi chiede.
Qua dovrei essere
io a fare domande. Scuoto la testa.
«Possiamo iniziare?» sbotto,
probabilmente con un po’ troppa insistenza.
È che proprio non
ci voglio stare qui dentro, ho la sensazione che mani invisibili mi
stiano per toccare e la cosa mi fa stringere la gola in un nodo.
Lei
si mette seduta poco lontano da me e mi fa un cenno
d’assenso.
«Dunque… ti manca Roma?»
Solleva entrambe le
sopracciglia, e per un attimo ho la sensazione che stia per scoppiare
a ridere, ma poi la bocca si piega in un leggero sorriso e il mio
cuore si acquieta. Devo essere stata condizionata dalle leggende che
girano su questo paese, un po’ dimenticato.
Mi concede qualche
istante, prima di rispondere.
Quando mi è stata proposta questa
intervista, avevo fatto lo stesso. In uno dei rari momenti in cui il
mio cellulare prendeva, mi era arrivata la mail di una rivista online
della capitale, semi-sconosciuta. Ero riuscita ad aprirla, a leggerla
e a rispondere prima che la ricezione tornasse a essere pessima.
Nella mail mi si proponeva un’intervista. A me. Lì, a Tiepole.
Perché? Era stata quella curiosità a convincermi ad accettare.
Tiepole era un posto lontano da Dio e dagli uomini, soprattutto da
quelli che volevano mantenere la propria salute mentale.
EMMA
Mi torna in mente il povero Jonathan Harker nel castello
di Dracula, giunto lì per affari, e sorrido per lo sciocco
raffronto. Io non sono un mostro. Non ancora, almeno.
«Ci
sono momenti» rispondo «in cui vorrei tornarci, a Roma. Ma devo
ammettere che questo posto, oramai, fa parte di me. Faticherei a
lasciarlo. Diciamo che la natura e la campagna mi hanno
conquistata.»
A quella risposta, la giornalista accenna un
sorriso tirato. Non si trova a suo agio, è palese. La seguo con lo
sguardo mentre tira fuori dalla borsa un taccuino e una penna. È
talmente agitata da essersi dimenticata di recuperare gli attrezzi
del mestiere, prima di iniziare con le domande.
«Non so quali
leggende del posto conosci» continuo. Inizio a provare un poco di
pena per quella sconosciuta. «Ma posso dirti che alcune sono
false.»
«E quali sono vere?» domanda lei, cercando di
dimostrarsi sicura.
Mi sporgo un poco.
«Quelle delle streghe,
ad esempio. O di mia nonna, morta impiccata. Le maledizioni. Le
sparizioni. I teschi. I fantasmi. Queste cose sono tutte vere. E se
avrai il coraggio sufficiente per accompagnarmi fuori di qui, per le
vie impervie di Tiepole, ti dimostrerò che non sto bluffando.»
La
giornalista deglutisce, nervosa. Eppure, noto nei suoi occhi un
guizzo di interesse. Non è questo, in fondo, ciò che fanno i
giornalisti? Curiosano in giro per scrivere il pezzo migliore. E io
oggi, quel pezzo migliore, glielo sto offrendo su un piatto
d’argento.
«Va benissimo» risponde, anche se la voce perde un
tono e si fa più incerta. «Mostrami il tuo paese.»
Il mio
paese.
Sì, Tiepole è decisamente parte di me. La parte più
oscura, più inquieta, che adesso sono pronta a mostrare. Mi alzo e
la giovane giornalista fa lo stesso, stringendo tra le mani il
taccuino e la penna.
«Seguimi. E mi raccomando: non allontanarti
mai da me. Questo paese è vecchio e pieno di piccole insidie.»
«Sì,
arrivando me ne sono accorta» risponde la ragazza. «Sono inciampata
parecchie volte.»
Sghignazzo. Non mi sto riferendo soltanto ai
sanpietrini divelti, ma alle cose che si nascondono tra le ombre.
Tuttavia, non rivelo ad alta voce questo pensiero.
La precedo
fuori, nella strada deserta.
Alzo gli occhi al cielo.
Questa è
una tipica giornata tiepolese. Le nuvole, cupe, minacciano pioggia.
Sospiro e mi volto, invitando di nuovo la forestiera a non
allontanarsi troppo da me. Poi, faccio silenzio e mi avvio per la
discesa.
I passi della giornalista che mi segue è l’unico
rumore che arriva alle mie orecchie, e io so che infiniti occhi ci
stanno guardando.
(N.B: la prima parte del racconto è stata scritta da Malia Delrai, editrice della Delrai Edizioni)