In the beginning: "I misteri di Crying River" di Chiara Falcone
Titolo: I Misteri di Crying River
Autore: Chiara Falcone
Ed. del Grifo (LE)
Leggi l'incipit
CAPITOLO
I
Caesar
ripose il grosso libro che aveva appena finito di leggere.
Odiava
l’estate con i suoi torridi pomeriggi interminabili. D’inverno le
cose non andavano certo meglio, poiché nulla cambiava nella sua
vita, ma almeno l’ora di andare a letto giungeva prima e quei
giorni tutti uguali scorrevano più velocemente.
Poiché,
dunque, il pomeriggio sarebbe stato lungo, decise di esplorare la
biblioteca del padre in cerca di qualcosa di nuovo da leggere,
qualcosa che non avesse già letto.
Imparare
a leggere fu la sola cosa che aveva chiesto a suo padre, Antonio VI
di Erodedmount, conte di Crying River.
Nei
suoi primi cinque anni di vita, era stata sua sorella Margareth,
allora quindicenne, a leggergli le storie prima di addormentarsi.
Poiché quelle storie gli permettevano di conoscere il mondo dal
quale era stato escluso, di conoscere la gente che mai avrebbe visto
da vicino, e poiché sua sorella lo andava a trovare soltanto dopo
cena, lui aveva giustamente pensato che se avesse imparato a leggere,
si sarebbe potuto rifugiare in quei mondi e tra quella gente ogni
volta che ne avrebbe avuto voglia.
Sì,
il suo corpo sarebbe rimasto prigioniero, ma la sua mente avrebbe
potuto volare fuori dalla finestra, attraversare quella piazza,
giungere fino alla foresta, valicare le montagne e poi… poi cosa
avrebbe trovato? Le città seduttrici, forse, o addirittura l’oceano?
A
soli cinque anni, dunque, bussò alla porta di suo padre, senza
sapere cosa significasse la parola “padre”. Sapeva soltanto che
quell’uomo era il “padrone”, come lo chiamava la servitù,
qualcuno che aveva il potere di far fare alla gente ciò che lui
voleva e al quale non si poteva disobbedire. Sapeva che suo padre
aveva anche il potere di chiudere la gente in prigione, come aveva
fatto con lui. Pensava che se avesse conosciuto qualcuno degli altri
“prigionieri” gli avrebbe consigliato di leggere, poiché per lui
“prigione” significava “stanza dalla quale si fugge soltanto
con l’immaginazione”.
Era
entrato nello studio del padre con la testa bassa e il passo incerto.
Doveva
aspettare che lui gli concedesse di parlare, ma l’uomo, come al
solito, aveva finto di non accorgersi della sua presenza, poiché per
lui suo figlio era solo uno spettro, una zavorra che il cielo gli
aveva voluto addossare.
Caesar
aveva aspettato dieci minuti in piedi, senza che suo padre gli
rivolgesse la parola. Poi si mise a sedere per terra – poiché
sulle poltrone era vietato senza il permesso del conte – e aspettò
ancora quindici minuti.
Alla
fine il vecchio si spazientì e sbottò: <<Non vedi che sto
lavorando? Che vuoi?>> Caesar avanzò la sua richiesta.
<<Chiedi
a tuo fratello!>> Sentenziò il vecchio che non aveva neppure
ascoltato.
Suo
fratello, Edward di Erodedmount aveva quasi la stessa autorità del
padre. Ma anche lui era obbligato a portare rispetto al vecchio.
A
cinque anni, Caesar pensava che “fratello” significasse “uomo
che può ordinare ad altri uomini di prenderti a bacchettate se alzi
la voce con lui”. Neanche il significato di “sorella” era per
lui quello convenzionale. “Sorella” era per lui “ragazza che
può entrare in prigione per farti un po’ di compagnia”.
Edward
non aveva accolto il bambino in maniera migliore, tuttavia gli aveva
dato l’autorizzazione per imparare a leggere.
Erano
trascorsi nove anni da allora.
In
nove anni Caesar aveva letto e riletto tutti i libri della
biblioteca, alcuni anche più di due volte, ed ora cercava qualcosa
di nuovo.
Eccoli
lassù, nei reparti più alti delle librerie i “libri proibiti”.
Aveva quattordici anni e una cultura che avrebbe fatto invidia ad uno
studentello universitario ed era abbastanza intelligente da potersi
permettere di osare oltre.
Salì
sulla lunga scala e sbirciò tra i titoli dei “libri proibiti”.
Fu
“Sangue e Veleno” il primo titolo che lo colpì. Era un volumetto
scuro col titolo scarlatto, una raccolta di poesie.
Tornò
alla poltrona e lo aprì.
Tra
la copertina anteriore e le pagine c’era una lettera firmata da un
certo Monsignor G. Grazzini, che aveva già sentito nominare altre
volte. Doveva essere il confessore del conte di Erodedmount.
Il
religioso, nella lettera, affermava che sotto l’ombra del progresso
si celavano i passi di Satana. Egli aveva già conquistato le città,
rendendole miscredenti e dissolute e definiva il nuovo secolo come
quello dell’Anticristo. “Sangue e Veleno” era la prova
dell’opera di dissoluzione del Demonio, che ora non corrompeva più
solo i poveri e gli ignoranti, rendendoli streghe o stregoni, ma
mirava addirittura ad uomini di “raffinato acume” e costoro
facilmente si facevano conquistare e devolvevano con sempre più
leggerezza le loro risorse al Male, piuttosto che impiegarle dalla
parte della Santa Chiesa nella sua eterna lotta contro le forze di
Satana.
L’autore
di “Sangue e Veleno” era dunque stato condannato per eresia e
messo al rogo. Della sua diabolica opera esisteva al mondo, per
fortuna, soltanto una copia.
Le
ammonizioni del religioso non fecero altro che aumentare la curiosità
del ragazzo.
Il
volume era diviso in tre parti. Nella prima, l’autore condannava in
quattordici componimenti l’essenza frivola delle classi dominanti e
la corruzione della Chiesa. C’era, infine, una breve riflessione:
<<Se la società dominata da codesti uomini è un
Ade invaso da fame, guerre e carestie; se questo è il mondo che
volle il vostro Dio per la sua umanità, in cui Ricchezza e Denaro,
guidano le menti dei nostri governanti e oppressori; e se combattete
colui che chiamate Demonio perché vi s’oppose, lasciatemi che mi
schieri dalla sua parte>>.
Caesar,
appena lesse quelle parole, spalancò gli occhi e richiuse il volume.
Lo
riaprì con cautela, come se dalle pagine potesse sbucare uno spirito
maligno per portarselo all’Inferno, solo perché aveva letto.
Nonostante
tutto, però, le rilesse.
“Questo
è valso una condanna a morte” pensò tra sé e sé “eppure è
evidente che, più che un’accusa contro la religione questa è
un’accusa contro gli uomini. La corruzione, infatti, è
degenerazione prettamente umana. Se non avesse avuto ragione, non si
sarebbero sentiti feriti da queste che sono solo supposizioni. Mette
a nudo i mali di una società che si definisce timorata di Dio, ma
sono loro stessi ad essersi scordati di Dio”.
In
quel momento cercava la spiegazione meno maligna a parole così
compromettenti. Anni dopo avrebbe affermato che l’autore di “Sangue
e Veleno” era semplicemente un genio, forse il più grande poeta di
tutta la storia.
La
seconda parte del libro era dedicata a poesie a tema erotico e la
terza, invece, intitolata “Oppio, o Sommo Poeta” conteneva deliri
e visioni.
In
quel momento, Caesar sentì qualcuno girare la chiave della
biblioteca e capì che si trattava di suo fratello. Nascose
immediatamente “Sangue e Veleno” sotto il volume più massiccio
di “Odissea” e finse di rileggere le avventure dell’itancense.
<<Non
devi passare per il corridoio principale, quando torni in camera
tua>>. Esordì secco Edward, con gli abiti di gala: sarebbe
diventato capitano dell’esercito, quella sera, e il conte aveva
dato un grande ricevimento. Naturalmente, Caesar non avrebbe dovuto
prendervi parte.
<<E
da dove esco, scusa?>> Gli domandò Caesar piuttosto irritato.
<<Giovanni
ti accompagnerà nei sotterranei e ti mostrerà il passaggio che dà
nel corridoio della tua camera>>.
CAPITOLO
II
Alle
sette, già i viali del giardino brulicavano di ospiti.
Caesar
li spiava dal balcone della biblioteca.
Ripensò
a “Sangue e Veleno”: eccole le classi dominanti che il poeta
maledetto aborriva e condannava, ed ecco anche i più importanti
esponenti del clero, in combutta con quei nobili. Era come se vescovi
e cardinali e dame e damigelle competessero nello sfoggio di gioielli
e diademi.
Se
anche suo padre avesse voluto che lui facesse parte di quel mondo,
lui non ne avrebbe mai fatto parte. Ma poiché lui era il figlio
abietto che Antonio VI aveva sempre tenuto nascosto, poiché era
stato il conte di Erodedmount a decidere che lui non ne avrebbe mai
fatto parte, in quel momento, mentre sfilavano le carrozze e
sorridevano marchesi e duchi, Caesar giurò a se stesso che non
avrebbe mai più semplicemente acconsentito passivamente alla sua
esclusione. Da quel momento, l’avrebbe accettata totalmente, ma
avrebbe fatto a modo suo.
Chiamò
Giovanni, uno dei maggiordomi, e gli disse che desiderava tornare in
camera sua.
L’uomo
lo condusse nei sotterranei.
Il
ragazzo non aveva mai visto quei luoghi. L’odore di muffa, la luce
fioca, lo squittire dei topi, gli parve tutto estremamente
affascinante.
Mentre
camminavano, Caesar domandò alla sua guida quante uscite segrete
nascondeva la sua casa e dove sbucava ognuna di quelle. Scoprì con
sorpresa che una dava direttamente nello studio di suo padre, ma era
quella che dava in giardino che gli interessava veramente.
Il
grande quadro nel corridoio, che rappresentava un avo a cavallo, era
in realtà una porta. Giovanni l’aprì senza accorgersi che il
ragazzo osservava attentamente i suoi movimenti. Il maggiordomo aprì
uno sportellino nella cornice del quadro e ne trasse una chiave che
usò per chiudere il passaggio.
<<Come
mai avevi soltanto la chiave per entrare nei sotterranei e non quella
per richiudere?>> Gli domandò Caesar.
<<Per
motivi di sicurezza, vostro padre ha proibito l’uso di mazzi di
chiavi troppo appariscenti e che rischiano di essere perduti.
All’entrata e all’uscita di ogni passaggio segreto ci sono le
chiavi per aprire e chiudere una sola porta, ben nascoste in un luogo
discreto>>.
<<Quanti
misteri!>> Fece il ragazzo sorridendo, poi congedò il
maggiordomo e si avviò in camera sua.
In
quella stanza, Marie e Filippo erano stesi sul letto a leggere un
grosso libro di fiabe.
<<Perché
non sei alla festa?>> Domandò Caesar alla sorella Marie, di
dieci anni. Condivideva quella stanza con lei e con il minore dei
cinque fratelli, Filippo, di soli tre anni.
<<Perché
mi fa male la testa>>. Disse lei seria.
<<Allora
perché non te ne vai a letto?>>
<<Ma
Margareth…>>
<<Margareth
è impegnata con gli ospiti, non verrà a darti la buonanotte
stasera. Perciò vai a dormire, sono già le otto>>. Le mentì.
Per
convincere la sorella, anche Caesar si mise a letto, ma prendere
sonno era l’ultima cosa che voleva. Attese con pazienza che lei
smettesse di muoversi sotto le lenzuola – significava che
finalmente si era addormentata. Intanto meditava sul suo proposito di
fuggire dal castello per vedere, finalmente, il resto della
cittadella.
“O
lo fai stanotte, o non lo fai mai più”. Pensò, infine.
Lasciò
il letto e tornò nel corridoio.
La
musica della sala da ballo giungeva fino al secondo piano.
In
occasione dei ricevimenti, i cancelli del giardino restavano aperti
tutta la notte, per questo era l’occasione ideale.
Caesar
riaprì il minuscolo sportello nella cornice e prese le chiavi.
Tornare
nelle gallerie era stato più semplice di quanto si era aspettato.
Raggiunse
l’uscita che dava al giardino e cercò la seconda chiave. C’era
una mensola con un intero servizio da tè. Cercò nelle tazze e sotto
di esse, nella teiera, e sotto la zuccheriera. Aprì poi
quest’ultima. Conteneva una polvere granulare, simile a zucchero,
ma il fatto che lì dentro non ci fossero formiche o altri insetti
attratti dal dolce odore, gli fece intuire che non si trattava di
zucchero. Inoltre lo strato superficiale di quella polvere presentava
delle incavature. Non esitò oltre, ci infilò l’indice e il
pollice e prese la chiave.
Il
secondo problema riguardava le sentinelle davanti al cancello.
Caesar
non aveva ancora pensato a come eluderle. Sollevò di pochi
centimetri la botola per sbirciare fuori.
La
richiuse immediatamente quando s’accorse delle zampe di due cavalli
bianchi che s’avvicinavano velocemente.
Li
sentì trottare sulla sua testa e, quando furono lontani, tornò ad
aprire la botola.
Forse
era il momento opportuno: se c’erano delle dame in quella carrozza,
le sentinelle avrebbero dovuto accorrere per aiutarle a scendere –
accorgimenti galanti per i quali suo padre era abbastanza accorto.
Non
solo la carrozza trasportava due contesse paffute, ma Caesar sentì
una di loro chiedere aiuto perché il tacco le si era incastrato
negli scalini della carrozza.
Svelto
come uno scoiattolo, il ragazzo saltò fuori dalla botola e corse
all’impazzata verso l’uscita.
Le
guardie non l’avevano neppure notato.
Era
fuggito. Ce l’aveva fatta. Ora il mondo avrebbe conosciuto Caesar e
Caesar avrebbe conosciuto il mondo.
Per saperne di più sull'autrice seguite in link:
Luna d'inchiostro
Luna d'inchiostro