Blog tour: La voce del sentimento ~ Evelyn Storm

Buonasera amici di blog!
Oggi sono felice di ospitare nel mio angolino virtuale una delle tappe del blog tour che vede in giro per il web il nuovo libro dell'autrice Evelyn Storm "La voce del sentimento", quattro racconti d'amore che potete trovare qui su Amazon al prezzo irrisorio di 0,99 €.


Quattro avventure in un unico romanzo. Quattro coppie seducenti e diverse tra loro, Veronica e Roberto, Daralis e Ronan, Petra e Josh, Cindy e Dylan, ma accomunate da un unico filo conduttore: la promessa di un amore “eterno”. Quattro storie con un argomento specifico, che spazia dalla vita vera al fantasy, dallʼombra alla luce, dal sentimento alla passione, dallʼItalia allʼestero.






Potete trovare la prima tappa del blog tour nel blog dell'autrice stessa cliccando QUI

Ma iniziamo a leggerne gli estratti, brani tratti dai quattro racconti presenti nella raccolta...




Da quando avevo perso Miao avevo cercato di dimenticarmi di quel bosco maledetto e non vi avevo più messo piede, come se non fosse mai esistito. Quellʼintrico di rami, alberi e foglie poteva bruciare, se fosse stato per me. Era solo una trappola mortale per chiunque, o poteva diventarlo. Solo lʼanno prima padre e figlia erano morti là dentro, colpiti da un fulmine che si era abbattuto su di loro, essendosi imprudentemente nascosti sotto un albero per proteggersi dalla pioggia. Ne ero rimasta annientata, non solo per i ricordi orribili che ancora mi perseguitavano, ma anche perché mi dispiaceva enormemente che una ragazza, in procinto di sposarsi, e suo padre, avessero trovato una fine tanto atroce. Non era giusto, ma cosa lo era? Quante di quelle ingiustizie avevo sentito in giro?
Ma, purtroppo, Roberto si era messo in mente di riportarmi dentro a quel labirinto infernale per esorcizzare le mie paure, voleva che le affrontassi per buttarmi alle spalle il passato una volta per tutte. Voleva che celebrassimo una specie di funerale, gettando in uno dei dirupi una scatola contenente alcune mie cose di quando avevo dieci anni, lʼanno maledetto in cui la morte si era presa Miao. Ci avremmo messo una pietra sopra, il che per lui equivaleva a dire che avrei potuto custodire in fondo al cuore il ricordo del mio gatto, naturalmente, ma che non avrei più rimuginato sopra al fatto che, se non lo avessi perso di vista, molto probabilmente sarebbe ancora vivo e con me. Non era stata colpa mia e dovevo convincermene. Con lui al mio fianco sarebbe stato senzʼaltro più facile e magari, prima o poi, possibile. 




Daralis si guardò attorno guardinga. Se non fosse stato per quella strana sensazione, nonostante il gelido inverno, si sarebbe attardata a passeggiare nel giardino e nella serra, dove il suo olfatto avrebbe scovato subito i fiori nonostante il buio. Adorava lʼiris di colore viola scuro, il penstemon dai fiori a calice, la dalia nella variante di colore rosso-nero, ma soprattutto il tabacco, uno dei fiori notturni più grandi e belli e capace di sprigionare un dolce profumo.
Il lieve chiarore lunare le consentì di vedere ancora meglio, anche se quello che scorse non fu esattamente piacevole. Cʼera veramente qualcuno e quel qualcuno non sembrava avere intenzioni pacifiche.
“Che faccio adesso?”
Si concentrò sul catenaccio con la forza del pensiero, sperando che fosse capace di un miracolo. Dʼaltronde, nessun essere di sesso maschile era capace di restarle indifferente o di resisterle a lungo, affascinante e sensuale comʼera, ed era sicura che quello fosse un maschio. Non molto alto e nemmeno troppo magro, ma maschio. Avrebbe cercato di sedurlo per fargli cambiare idea circa le sue cattive intenzioni, ma la sensazione di disagio invece di diminuire stava aumentando, chiaro indizio che a quello sconosciuto del suo aspetto non importava un fico secco, mentre il catenaccio non dava segni di ripresa. A quel punto, tanto valeva tentare di nascondersi o scappare il più velocemente possibile. E così fece, scappò, ma alla fine della corsa si sentì trascinare via per chilometri.
Intanto Ronan DʼAuberville, che li aveva seguiti e che si era nascosto a qualche metro di distanza, lottava per non uccidere, nei suoi quasi due metri di altezza. Pensava razionalmente a come liberarla, cercando di adottare una condotta più equilibrata e aliena rispetto alla sua indole primigenia di demone.
Incatenato in una delle prigioni di Aric, aveva avvertito il potente incantesimo di Laryn Godart, madre di Daralis, che lʼaveva risvegliato, e aveva impiegato secoli per trovare la ragazza. Ma ora Ronan era lì, ossessionato dal compito di proteggerla a ogni costo e di vendicarsi del vampiro, se avesse avuto la certezza che fosse ancora in circolazione. 



Fin da piccolo ho sognato due cose: la danza e lʼamore. La danza era il solo modo per esprimere appieno ogni mia più piccola emozione, per tendere fino allo spasmo i muscoli e sfogare le pene e gli insuccessi, oltre che per sentirmi vivo e invincibile, quasi un robot o qualcosa del genere. Non mi preoccupavo di poter cadere, farmi male, soffrire le pene dellʼinferno, perché la danza era per me il paradiso tanto agognato, in grado di scacciare la paura. Quella vera, profonda, assoluta, che spinge a bloccarsi e a non muovere più un passo, come era accaduto a tanti miei conoscenti, soprattutto in seguito a storte o fratture.
E sognavo lʼamore, forse perché ero nato nellʼamore. Mia madre aveva rischiato la morte per darmi alla luce, ma nonostante i dolori atroci che si erano protratti per ore e ore, aveva lottato e chiesto ai medici di tentare il tutto e per tutto... per me. Inoltre, avevo impresse nella memoria tutte quelle attenzioni e quei gesti dʼaffetto che mio padre continuava a rivolgere a mia madre, ricambiato, e li desideravo anchʼio... desideravo essere la luna e le stelle per una donna, e amarla. Anche se ancora mi rimbombavano nelle orecchie le frasi sarcastiche dei mie amici e le loro risatine deficienti. Mi giudicavano strambo a perdermi, e a perdere il mio tempo, dietro quelle ʻstronzateʼ romantiche. Parole loro, non mie. Io non le avrei mai concepite.
I miei desideri erano forse banali e probabilmente condivisi da milioni di persone in tutto il mondo, ma non aspiravo a diventare unico o troppo diverso dai miei simili. Sarebbe stato un sogno che non potevo permettermi, se non volevo impazzire, e che avrebbe rischiato di mescolarsi ai tanti che avevo accumulato nel corso degli anni, rendendomi il ragazzo triste e arrabbiato che ero già. Un ragazzo che infinite volte si era disperato e che era furioso con il destino avverso per essere nato lontano da quelle mecche del successo quali Los Angeles, Hollywood, Londra o metropoli simili. 




«Lasciami! È finita» gli gridò per farsi sentire da tutti, sperando che qualche anima pia potesse intervenire proprio quando si ritrovarono allʼesterno di quella magia e si allontanarono di un altro poʼ. Con un sorriso ironico, per tutta risposta, lʼuomo le strinse il braccio con maggior violenza. «Taci, stronzetta. Lo so che cosa cerchi di fare, stai attirando lʼattenzione su di noi per farti aiutare da qualcuno. Che ci provi, quel qualcuno, e lo mando allʼaltro mondo senza che nemmeno se ne accorga.» 
«Perché devi essere così... disturbato?» Pronunciò quelle ultime parole in lacrime, con gli occhi color miele già appannati.
«Sei una donna e io devo domarti, ecco tutto.»
“Beh, questo no. Sono io che dovrei domare te, maiale... peccato che la parola ʻscrofoʼ non esista” lo fulminò dentro di sé.
In ogni caso la calma con cui ʻlʼinvertebratoʼ aveva pronunciato quelle parole la punse nel vivo. Sollevando il naso alla francese, gli gridò contro tutto il rancore accumulato, anche se in maniera impacciata. «E tu... sei solo una bestia immonda, un clone di Nightmare, il mostro di Loch Ness o un esperimento fallito alla Frankenstein!»
«Meglio bestia, mostro e roba del genere che donna.»
«Crepa! Ti auguro di annegare nello scarico dello sciacquone o di pagare tra le fiamme quello che mi hai fatto passare.» Tentò poi di allontanarlo con tutta la forza, proprio quando unʼaltra profonda voce maschile le arrivò alle spalle.
«Ehi, ti conviene lasciarla stare» disse il proprietario della voce in tono fermo.
«Perché, altrimenti che mi fai?»
«Ora lasciala, non farmelo ripetere.»
“Così si parla. Meno male che le mie preghiere sono state esaudite” pensò per lʼennesima volta Cindy, non sapendo se sentirsi sollevata di ricevere una mano da uno sconosciuto oppure se abbandonarsi ancora al pianto o alla paura che qualcosa andasse storto. Giocando il tutto per tutto, ne approfittò per tirare un calcio a David, che mollò la presa sul suo arto.
“Brutto idiota, te lʼho fatta!”
Sentì poi un nodo allo stomaco per lʼansia, dato lo sguardo assassino, alla Jack Nicholson, di quello che considerava ormai il suo ex compagno, ma lʼaltro uomo la tirò velocemente dietro di sé, per mettersi davanti a lei e proteggerla con il suo corpo.
«Hai trovato un paladino della giustizia o hai un altro e non lo sapevo, eh?» sbraitò David.
“Sì, guarda, ho trovato Robin Hood.” 




Questi estratti vi hanno incusiosito? Quale di queste coppie maggiornamente vi ha colpito? Io francamente non saprei scegliere...

Trovate la terza e ultima tappa nel blog di Valeria De Luca online il 1 Dicembre.
Un saluto amici di blog e un sentito in bocca al lupo all'autrice.

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