In the beginning: "I misteri di Crying River" di Chiara Falcone




Titolo: I Misteri di Crying River
Autore: Chiara Falcone
Ed. del Grifo (LE)
Anno di pubblicazione: 2010
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CAPITOLO I

Caesar ripose il grosso libro che aveva appena finito di leggere.
Odiava l’estate con i suoi torridi pomeriggi interminabili. D’inverno le cose non andavano certo meglio, poiché nulla cambiava nella sua vita, ma almeno l’ora di andare a letto giungeva prima e quei giorni tutti uguali scorrevano più velocemente.
Poiché, dunque, il pomeriggio sarebbe stato lungo, decise di esplorare la biblioteca del padre in cerca di qualcosa di nuovo da leggere, qualcosa che non avesse già letto.
Imparare a leggere fu la sola cosa che aveva chiesto a suo padre, Antonio VI di Erodedmount, conte di Crying River.
Nei suoi primi cinque anni di vita, era stata sua sorella Margareth, allora quindicenne, a leggergli le storie prima di addormentarsi. Poiché quelle storie gli permettevano di conoscere il mondo dal quale era stato escluso, di conoscere la gente che mai avrebbe visto da vicino, e poiché sua sorella lo andava a trovare soltanto dopo cena, lui aveva giustamente pensato che se avesse imparato a leggere, si sarebbe potuto rifugiare in quei mondi e tra quella gente ogni volta che ne avrebbe avuto voglia.
Sì, il suo corpo sarebbe rimasto prigioniero, ma la sua mente avrebbe potuto volare fuori dalla finestra, attraversare quella piazza, giungere fino alla foresta, valicare le montagne e poi… poi cosa avrebbe trovato? Le città seduttrici, forse, o addirittura l’oceano?
A soli cinque anni, dunque, bussò alla porta di suo padre, senza sapere cosa significasse la parola “padre”. Sapeva soltanto che quell’uomo era il “padrone”, come lo chiamava la servitù, qualcuno che aveva il potere di far fare alla gente ciò che lui voleva e al quale non si poteva disobbedire. Sapeva che suo padre aveva anche il potere di chiudere la gente in prigione, come aveva fatto con lui. Pensava che se avesse conosciuto qualcuno degli altri “prigionieri” gli avrebbe consigliato di leggere, poiché per lui “prigione” significava “stanza dalla quale si fugge soltanto con l’immaginazione”.
Era entrato nello studio del padre con la testa bassa e il passo incerto.
Doveva aspettare che lui gli concedesse di parlare, ma l’uomo, come al solito, aveva finto di non accorgersi della sua presenza, poiché per lui suo figlio era solo uno spettro, una zavorra che il cielo gli aveva voluto addossare.
Caesar aveva aspettato dieci minuti in piedi, senza che suo padre gli rivolgesse la parola. Poi si mise a sedere per terra – poiché sulle poltrone era vietato senza il permesso del conte – e aspettò ancora quindici minuti.
Alla fine il vecchio si spazientì e sbottò: <<Non vedi che sto lavorando? Che vuoi?>> Caesar avanzò la sua richiesta.
<<Chiedi a tuo fratello!>> Sentenziò il vecchio che non aveva neppure ascoltato.
Suo fratello, Edward di Erodedmount aveva quasi la stessa autorità del padre. Ma anche lui era obbligato a portare rispetto al vecchio.
A cinque anni, Caesar pensava che “fratello” significasse “uomo che può ordinare ad altri uomini di prenderti a bacchettate se alzi la voce con lui”. Neanche il significato di “sorella” era per lui quello convenzionale. “Sorella” era per lui “ragazza che può entrare in prigione per farti un po’ di compagnia”.
Edward non aveva accolto il bambino in maniera migliore, tuttavia gli aveva dato l’autorizzazione per imparare a leggere.
Erano trascorsi nove anni da allora.
In nove anni Caesar aveva letto e riletto tutti i libri della biblioteca, alcuni anche più di due volte, ed ora cercava qualcosa di nuovo.
Eccoli lassù, nei reparti più alti delle librerie i “libri proibiti”. Aveva quattordici anni e una cultura che avrebbe fatto invidia ad uno studentello universitario ed era abbastanza intelligente da potersi permettere di osare oltre.
Salì sulla lunga scala e sbirciò tra i titoli dei “libri proibiti”.
Fu “Sangue e Veleno” il primo titolo che lo colpì. Era un volumetto scuro col titolo scarlatto, una raccolta di poesie.
Tornò alla poltrona e lo aprì.
Tra la copertina anteriore e le pagine c’era una lettera firmata da un certo Monsignor G. Grazzini, che aveva già sentito nominare altre volte. Doveva essere il confessore del conte di Erodedmount.
Il religioso, nella lettera, affermava che sotto l’ombra del progresso si celavano i passi di Satana. Egli aveva già conquistato le città, rendendole miscredenti e dissolute e definiva il nuovo secolo come quello dell’Anticristo. “Sangue e Veleno” era la prova dell’opera di dissoluzione del Demonio, che ora non corrompeva più solo i poveri e gli ignoranti, rendendoli streghe o stregoni, ma mirava addirittura ad uomini di “raffinato acume” e costoro facilmente si facevano conquistare e devolvevano con sempre più leggerezza le loro risorse al Male, piuttosto che impiegarle dalla parte della Santa Chiesa nella sua eterna lotta contro le forze di Satana.
L’autore di “Sangue e Veleno” era dunque stato condannato per eresia e messo al rogo. Della sua diabolica opera esisteva al mondo, per fortuna, soltanto una copia.
Le ammonizioni del religioso non fecero altro che aumentare la curiosità del ragazzo.
Il volume era diviso in tre parti. Nella prima, l’autore condannava in quattordici componimenti l’essenza frivola delle classi dominanti e la corruzione della Chiesa. C’era, infine, una breve riflessione:

<<Se la società dominata da codesti uomini è un Ade invaso da fame, guerre e carestie; se questo è il mondo che volle il vostro Dio per la sua umanità, in cui Ricchezza e Denaro, guidano le menti dei nostri governanti e oppressori; e se combattete colui che chiamate Demonio perché vi s’oppose, lasciatemi che mi schieri dalla sua parte>>.

Caesar, appena lesse quelle parole, spalancò gli occhi e richiuse il volume.
Lo riaprì con cautela, come se dalle pagine potesse sbucare uno spirito maligno per portarselo all’Inferno, solo perché aveva letto.
Nonostante tutto, però, le rilesse.
Questo è valso una condanna a morte” pensò tra sé e sé “eppure è evidente che, più che un’accusa contro la religione questa è un’accusa contro gli uomini. La corruzione, infatti, è degenerazione prettamente umana. Se non avesse avuto ragione, non si sarebbero sentiti feriti da queste che sono solo supposizioni. Mette a nudo i mali di una società che si definisce timorata di Dio, ma sono loro stessi ad essersi scordati di Dio”.
In quel momento cercava la spiegazione meno maligna a parole così compromettenti. Anni dopo avrebbe affermato che l’autore di “Sangue e Veleno” era semplicemente un genio, forse il più grande poeta di tutta la storia.
La seconda parte del libro era dedicata a poesie a tema erotico e la terza, invece, intitolata “Oppio, o Sommo Poeta” conteneva deliri e visioni.
In quel momento, Caesar sentì qualcuno girare la chiave della biblioteca e capì che si trattava di suo fratello. Nascose immediatamente “Sangue e Veleno” sotto il volume più massiccio di “Odissea” e finse di rileggere le avventure dell’itancense.
<<Non devi passare per il corridoio principale, quando torni in camera tua>>. Esordì secco Edward, con gli abiti di gala: sarebbe diventato capitano dell’esercito, quella sera, e il conte aveva dato un grande ricevimento. Naturalmente, Caesar non avrebbe dovuto prendervi parte.
<<E da dove esco, scusa?>> Gli domandò Caesar piuttosto irritato.
<<Giovanni ti accompagnerà nei sotterranei e ti mostrerà il passaggio che dà nel corridoio della tua camera>>.


CAPITOLO II

Alle sette, già i viali del giardino brulicavano di ospiti.
Caesar li spiava dal balcone della biblioteca.
Ripensò a “Sangue e Veleno”: eccole le classi dominanti che il poeta maledetto aborriva e condannava, ed ecco anche i più importanti esponenti del clero, in combutta con quei nobili. Era come se vescovi e cardinali e dame e damigelle competessero nello sfoggio di gioielli e diademi.
Se anche suo padre avesse voluto che lui facesse parte di quel mondo, lui non ne avrebbe mai fatto parte. Ma poiché lui era il figlio abietto che Antonio VI aveva sempre tenuto nascosto, poiché era stato il conte di Erodedmount a decidere che lui non ne avrebbe mai fatto parte, in quel momento, mentre sfilavano le carrozze e sorridevano marchesi e duchi, Caesar giurò a se stesso che non avrebbe mai più semplicemente acconsentito passivamente alla sua esclusione. Da quel momento, l’avrebbe accettata totalmente, ma avrebbe fatto a modo suo.
Chiamò Giovanni, uno dei maggiordomi, e gli disse che desiderava tornare in camera sua.
L’uomo lo condusse nei sotterranei.
Il ragazzo non aveva mai visto quei luoghi. L’odore di muffa, la luce fioca, lo squittire dei topi, gli parve tutto estremamente affascinante.
Mentre camminavano, Caesar domandò alla sua guida quante uscite segrete nascondeva la sua casa e dove sbucava ognuna di quelle. Scoprì con sorpresa che una dava direttamente nello studio di suo padre, ma era quella che dava in giardino che gli interessava veramente.
Il grande quadro nel corridoio, che rappresentava un avo a cavallo, era in realtà una porta. Giovanni l’aprì senza accorgersi che il ragazzo osservava attentamente i suoi movimenti. Il maggiordomo aprì uno sportellino nella cornice del quadro e ne trasse una chiave che usò per chiudere il passaggio.
<<Come mai avevi soltanto la chiave per entrare nei sotterranei e non quella per richiudere?>> Gli domandò Caesar.
<<Per motivi di sicurezza, vostro padre ha proibito l’uso di mazzi di chiavi troppo appariscenti e che rischiano di essere perduti. All’entrata e all’uscita di ogni passaggio segreto ci sono le chiavi per aprire e chiudere una sola porta, ben nascoste in un luogo discreto>>.
<<Quanti misteri!>> Fece il ragazzo sorridendo, poi congedò il maggiordomo e si avviò in camera sua.
In quella stanza, Marie e Filippo erano stesi sul letto a leggere un grosso libro di fiabe.
<<Perché non sei alla festa?>> Domandò Caesar alla sorella Marie, di dieci anni. Condivideva quella stanza con lei e con il minore dei cinque fratelli, Filippo, di soli tre anni.
<<Perché mi fa male la testa>>. Disse lei seria.
<<Allora perché non te ne vai a letto?>>
<<Ma Margareth…>>
<<Margareth è impegnata con gli ospiti, non verrà a darti la buonanotte stasera. Perciò vai a dormire, sono già le otto>>. Le mentì.
Per convincere la sorella, anche Caesar si mise a letto, ma prendere sonno era l’ultima cosa che voleva. Attese con pazienza che lei smettesse di muoversi sotto le lenzuola – significava che finalmente si era addormentata. Intanto meditava sul suo proposito di fuggire dal castello per vedere, finalmente, il resto della cittadella.
O lo fai stanotte, o non lo fai mai più”. Pensò, infine.
Lasciò il letto e tornò nel corridoio.
La musica della sala da ballo giungeva fino al secondo piano.
In occasione dei ricevimenti, i cancelli del giardino restavano aperti tutta la notte, per questo era l’occasione ideale.
Caesar riaprì il minuscolo sportello nella cornice e prese le chiavi.
Tornare nelle gallerie era stato più semplice di quanto si era aspettato.
Raggiunse l’uscita che dava al giardino e cercò la seconda chiave. C’era una mensola con un intero servizio da tè. Cercò nelle tazze e sotto di esse, nella teiera, e sotto la zuccheriera. Aprì poi quest’ultima. Conteneva una polvere granulare, simile a zucchero, ma il fatto che lì dentro non ci fossero formiche o altri insetti attratti dal dolce odore, gli fece intuire che non si trattava di zucchero. Inoltre lo strato superficiale di quella polvere presentava delle incavature. Non esitò oltre, ci infilò l’indice e il pollice e prese la chiave.
Il secondo problema riguardava le sentinelle davanti al cancello.
Caesar non aveva ancora pensato a come eluderle. Sollevò di pochi centimetri la botola per sbirciare fuori.
La richiuse immediatamente quando s’accorse delle zampe di due cavalli bianchi che s’avvicinavano velocemente.
Li sentì trottare sulla sua testa e, quando furono lontani, tornò ad aprire la botola.
Forse era il momento opportuno: se c’erano delle dame in quella carrozza, le sentinelle avrebbero dovuto accorrere per aiutarle a scendere – accorgimenti galanti per i quali suo padre era abbastanza accorto.
Non solo la carrozza trasportava due contesse paffute, ma Caesar sentì una di loro chiedere aiuto perché il tacco le si era incastrato negli scalini della carrozza.
Svelto come uno scoiattolo, il ragazzo saltò fuori dalla botola e corse all’impazzata verso l’uscita.
Le guardie non l’avevano neppure notato.
Era fuggito. Ce l’aveva fatta. Ora il mondo avrebbe conosciuto Caesar e Caesar avrebbe conosciuto il mondo.

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Luna d'inchiostro

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